Brasile: le opportunità nel prossimo triennio
Quali scenari si aprono per le imprese presenti in Brasile e per quelle che incominciano a esplorare l’America Latina?
Secondo il Focus sul Brasile pubblicato a novembre da SACE, il Paese non ha saputo trasformare il boom economico del 2010 in crescita sostenibile, con un Pil che nel 2015 ha perso quasi il 4% e le difficoltà si sono estese al 2016, ma nel 2017 si attendono i primi segnali di ripresa. La corruzione ha travolto i colossi Petrobras e Odebrecht, con risvolti politici culminati nell’impeachment della ex-presidente Rousseff con la conseguente nomina di Temer a Presidente.
A proteggere il Brasile sono i punti di forza: diversificazione della struttura economica, abbondanza di risorse naturali, reddito pro-capite medio-alto, solido sistema finanziario, riserve valutarie e debito estero contenuto in rapporto al Pil.
Il vasto territorio accoglie 200 milioni di abitanti di età media intorno ai 30 anni, una classe media con accesso a livelli di benessere e consumo crescenti. Il Brasile è il quinto maggiore produttore tessile dopo Cina, India, Stati Uniti e Pakistan; il secondo produttore e terzo consumatore di denim al mondo; il quarto produttore di abbigliamento dopo Cina, India e Turchia. E’ il primo produttore di caffè e cellulosa; secondo per etanolo, ferro e bauxite; terzo per la frutta e quinto per i cereali. E’ anche il primo esportatore di carne bovina e pollame, zucchero e succo d'arancia; secondo per soia e derivati, quarto per la carne suina.
Vi sono dunque opportunità nel settore del tessile e abbigliamento nonché nella meccanica strumentale. E ancora per macchinari agricoli, alimentari e imballaggi, macchine per la lavorazione dei metalli, vetro, plastica, pietre naturali, macchine per fonderie, macchine per calzature e concerie. L’industria locale richiede trasferimenti di know-how e aggiornamenti delle tecnologie per aumentare la produttività, oltre a parti di ricambio o servizi post-vendita.
Secondo il Focus SACE, nel 2015 le esportazioni italiane nel Paese sono calate del 17,4% (3,9 miliardi di euro) ma nel triennio 2017-19 l’export italiano dovrebbe crescere con un tasso medio annuo del 3%, trainate da meccanica strumentale, mezzi di trasporto, tessile e abbigliamento e dai prodotti chimico-farmaceutici.
Il Brasile resta il primo beneficiario di investimenti diretti esteri (IDE) in America Latina e la quinta destinazione al mondo. Dopo il boom nel periodo 2009-2011, i flussi IDE sono passati da 96 miliardi USD nel 2011 a 65 miliardi USD nel 2015. Tra i principali settori figurano attività finanziarie e assicurative, estrattivo, telecomunicazioni e automotive.
Tra le grandi società italiane presenti in Brasile troviamo il gruppo Finmeccanica, Alitalia, Azimut Benetti, Iveco, Fca; Barilla, Campari, Ferrero, Lavazza; Ghella, Salini Impregilo; Enel ed Eni; Luxottica e Safilo. Nel 2015 l’Italia ha investito direttamente in Brasile 964 milioni di euro, di cui il 30% nei servizi e nelle telecomunicazioni e un altro 30% nel settore dei mezzi di trasporto.
Da segnalare la complessità delle normative doganali e fiscali, la variabilità di procedure burocratiche, restrizioni e imposte in funzione del prodotto importato, della modalità di trasporto e del Paese di origine. Le importazioni possono essere soggette a licenza… Le imposte, calcolate sul valore, variano a seconda del bene importato e dell’esistenza di un prodotto similare nel Paese. Inoltre le misure di protezione dell’industria nazionale possono rendere difficile l’accesso da parte degli investitori stranieri. Ma non ci si deve scoraggiare.
Cosa occorre dunque fare o non fare per operare in Brasile? Per esempio non sottovalutare le debolezze strutturali, come la carenza di manodopera qualificata, il basso livello di produttività, un inadeguato livello di istruzione, eccessive politiche protezionistiche, l’incertezza giuridica in materia economica. Il rischio di credito attestatosi a 53/100 consiglia inoltre di proteggere le vendite dai rischi di mancato pagamento delle controparti.