Cina, l’export italiano può ancora crescere
La Cina è l’ottavo Paese di destinazione dell’export italiano, primo in Asia davanti a Giappone, Hong Kong, Corea del Sud e India.
Nel 2007 esportavamo prodotti per 6,3 miliardi di euro, saliti nel 2017 a 13,5 (+22,2% rispetto al 2016), soprattutto grazie alle vendite di meccanica strumentale (apparecchiature meccaniche, rubinetteria, macchine per imbottigliamento ed etichettatura, incapsulatrici, imballaggio) e veicoli, che beneficeranno dell’abbattimento dei dazi (dal 25 al 15%).
Altri prodotti richiesti sono calzature, indumenti e accessori di maglia, prodotti chimici organici e farmaceutici, pelli, cuoio e prodotti ceramici, mobili in lego, ma anche metallurgia (ghisa, ferro, acciaio o rame), interruttori, commutatori, spine e prese di corrente, pasta e vino.
Nei primi sette mesi 2018 l’export verso la Cina si è stabilizzato (-0,2%) a eccezione dei settori meccanica strumentale, tessile e abbigliamento, chimica-farmaceutica, gomma e plastica, metallurgia. Secondo le previsioni SACE Simest la crescita proseguirà nei prossimi anni con una media del +8,8% tra il 2019 e il 2021 quando dovrebbe sfiorare i 20 miliardi di euro.
Per SACE la nostra quota di mercato nel Paese è ancora modesta, quindi con margini di ulteriore crescita.
Nel triennio 2018-2020 il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita media del Pil cinese del 6,4, meno rapida e con l’obiettivo di migliorare il reddito pro-capite rilanciando i consumi interni e i servizi, oltre che migliorare le strutture produttive verso attività a maggiore valore aggiunto.